Un anno dopo il Rapporto Draghi: sfide e prospettive per la competitività europea

Il 16 settembre 2025 la Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e Mario Draghi hanno aperto la High-Level Conference – One year after the Draghi report: what has been achieved, what has changed.
A un anno dalla pubblicazione del suo rapporto sulla competitività europea, Draghi ha fatto il punto sulle sfide più urgenti per l’Unione: crescita, resilienza, sicurezza economica, transizione verde e digitale.
Un intervento lucido e incisivo, che invita l’Europa a reagire con maggiore rapidità, unità e ambizione.

👉 Guarda il video completo dell’intervento di Mario Draghi: Audiovisual Service – European Commission President Ursula von der LEYEN hosts the conference “One Year After the Draghi Report”

L’esame di Ursula VON DER LEYEN: passata o respinta?

Il Discorso sullo Stato dell’Unione 2025 della Presidente Ursula von der Leyen, tenuto il 10 settembre al Parlamento europeo di Strasburgo, ha rappresentato uno dei momenti politici più densi della legislatura. Con toni urgenti e una visione ad ampio raggio, von der Leyen ha tracciato una rotta che intreccia sicurezza e difesa, gestione delle crisi internazionali, transizione verde, politiche sociali e rafforzamento della democrazia europea.

Tra i passaggi chiave spiccano: la definizione di una tabella di marcia per la difesa comune e il sostegno all’Ucraina attraverso nuovi strumenti finanziari; le misure nei confronti di Israele e il rinnovato impegno per una soluzione a due Stati; l’annuncio di nuovi strumenti commerciali e industriali per sostenere la transizione verde e la competitività europea; la strategia per il mercato unico e l’accelerazione tecnologica; un’attenzione rafforzata alla giustizia sociale, con la Strategia contro la povertà e il Quality Jobs Act; la creazione di strumenti per contrastare disinformazione e manipolazione sui social media; e infine un forte richiamo all’unità europea e alla difesa dei valori comuni.

A seguire, presentiamo l’analisi e le riflessioni di Alfredo De Feo, Direttore scientifico del Collegio europeo di Parma, che offre una chiave di lettura critica e personale di questo passaggio cruciale per l’Unione europea. Discorso della Presidente von der Leyen sullo stato dell’Unione 2025

 

Di Alfredo De Feo – Pubblicato sulla Gazzetta di Parma in data 11/09/2025

Nella mattinata del 10 settembre, Ursula von der Leyen si è presentata davanti al Parlamento europeo con un discorso di novanta minuti sullo stato dell’Unione, chiamando in causa non solo le istituzioni, ma l’intera ossatura democratica europea.

Il discorso era rivolto soprattutto ai gruppi politici che, sia pur con differenze, sostengono globalmente il progetto europeo. Da questo punto di vista la Presidente von der Leyen ha potuto registrare una maggioranza, anche più ampia di quella che l’ha sostenuta, nel suo secondo mandato. La Presidente potrà contare su una maggioranza,  che di volta in volta, si potrà appoggiare sui popolari, i socialisti, i liberali, i verdi ed i conservatori (il gruppo guidato da Fratelli d’Italia), e tutti i gruppi sia pur con molti distinguo, hanno potuto ritrovare punti importanti per le loro richieste.

Il discorso si è tenuto in un momento di crescente fragilità politica per la Presidente, caratterizzata da critiche per la gestione del commercio estero, e per l’atteggiamento spesso remissivo nei confronti del Presidente Trump e tensioni interne all’UE, in particolare legate all’applicazione di sanzioni alle big tech per violazione della legislazione europea.

Il programma di proposte avanzate è ambizioso, mira a difendere in modo non ambiguo l’indipendenza, la sicurezza, la competitività e la sovranità europea. Ma queste idee riusciranno a tradursi, in tempi relativamente brevi, in proposte chiare per mettere gli Stati Membri di fronte alle proprie responsabilità, oppure la Commissione ripiegherà sul consueto negoziato informale per garantirsi il sostegno minimo necessario? Il dubbio è legittimo e nel secondo caso le proposte rischiano di arrivare al nastro di partenza già denaturate. D’altra parte, negli ultimi 12 mesi solo l’11% delle oltre 400 raccomandazioni dei Rapporti Draghi e Letta è stato concretamente adottato, segno di un’ambizione spesso frenata dalla difficoltà di convergenza tra i ventisette.

Il discorso ha cercato di compiacere le istanze europeiste, ma ora la sfida è continuare a mostrare nei fatti visione e leadership, dando concretezza alle intenzioni con proposte coraggiose e convincere i governi che, investire nelle priorità comuni, convenga a ciascuno Paese.

Nel contempo, bisogna essere realisti, difficilmente le misure proposte troveranno l’unanimità degli Stati, ma questo non deve impedire di procedere con gli Stati pronti a progredire, attraverso la cooperazione rafforzata prevista dai Trattati, la stessa formula che, tra l’altro, ha permesso di dare vita all’Euro.

E’ quindi auspicabile che la Commissione svolga pienamente il suo ruolo istituzionale, ma non va dimenticato che sono gli Stati che detengono i cordoni della borsa, e la maggior parte delle proposte hanno un costo supplementare. La vera difficoltà consisterà nel convincere gli Stati che investire nelle priorità europee porterà un vantaggio a tutti gli Stati. Questa è la missione più difficile della Presidente Von der Leyen. Una sensibilizzazione e mobilitazione dell’opinione pubblica su questi temi sarà decisiva per influenzare i negoziati intergovernativi e garantire maggior sicurezza, competitività ed indipendenza agli Stati, all’Europa e soprattutto alle future generazioni.

L’esito dell’esame, dunque, appare ancora sospeso: soltanto se la Commissione saprà tradurre le promesse in azioni concrete e convincere gli Stati a sostenere la svolta progettuale, von der Leyen potrà dirsi promossa. In caso contrario, sarà la credibilità delle istituzioni a pagare il prezzo più alto, mettendo a rischio il futuro stesso dell’Unione europea.

Vertice UE-Cina: serve un nuovo inizio

Di Gerhard Stahl

 

Nel 2025, l’Unione Europea e la Repubblica Popolare Cinese celebreranno il 50° anniversario delle loro relazioni diplomatiche. Questa pietra miliare verrà segnata dal vertice che si terrà il 24 luglio a Pechino. Questo arriva in un momento di profonda trasformazione globale: i conflitti geopolitici si stanno trasformando in guerre globali, le istituzioni stanno perdendo efficacia, l’interdipendenza economica è sotto pressione e le norme internazionali vengono messe in discussione.

Le relazioni UE-Cina, un tempo ampiamente plasmate dalla cooperazione pragmatica, sono sempre più definite da rivalità e sfiducia. Le “Prospettive strategiche” dell’UE del 2019 hanno evidenziato questa trasformazione, descrivendo la Cina come un partner, concorrente e rivale sistemico: una formula ora riecheggiata nei governi nazionali e nel dibattito pubblico.

Tuttavia, il termine “rivale sistemico” ha contribuito più a creare incomprensioni che a costruire un dialogo. L’inquadramento prevalente della politica globale come una competizione tra democrazie e autocrazie ha reso ulteriormente tese le relazioni tra Stati. Le tensioni hanno raggiunto il culmine quando il Parlamento europeo ha sospeso l’approvazione formale del Comprehensive Agreement on Investment (CAI), un accordo che ha richiesto sette anni di negoziazione e che è stato finalizzato negli ultimi giorni della presidenza tedesca del Consiglio nel dicembre 2020. Il CAI prometteva concessioni significative in materia di accesso al mercato e condizioni di investimento per le aziende europee. Tuttavia, l’approvazione ha subito una battuta d’arresto in risposta alle sanzioni dell’UE riguardanti il tema dei diritti umani, alle contro sanzioni della Cina e all’opposizione degli Stati Uniti. Ironicamente, l’amministrazione Trump aveva firmato un accordo commerciale bilaterale orientato a trattare con la Cina all’inizio del 2020 – senza consultare l’UE – per assicurarsi l’acquisto di beni americani.

Oggi la democrazia e l’integrazione europee sono minacciate non solo esternamente, ma anche internamente, dai movimenti populisti che si sono affermati su entrambi i lati dell’Atlantico. Il movimento MAGA, che ha spinto per il ritorno politico di Donald Trump, ora sta attivamente sostenendo le forze di estrema destra e gli euroscettici in Europa.  In questo contesto, il vertice UE-Cina deve contribuire a ripristinare le relazioni già esistenti sotto nuove condizioni internazionali. L’incontro offre l’opportunità di riallineare le aspettative, ripristinare la fiducia e riconfermare un impegno collettivo basato su interessi e responsabilità chiaramente definiti. Non si tratta solo di cooperazione bilaterale, si tratta di ridisegnare il futuro dell’ordine globale.

 

Il ritorno di Trump: una minaccia strutturale all’ordine multilaterale

Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca non è semplicemente un evento di portata nazionale, poiché segna una rottura nell’ordine internazionale stabilitosi sin dal dopoguerra. La sua amministrazione abbraccia una visione del mondo protezionista, transazionale e unilaterale, andando a minare un sistema internazionale che ha sostenuto la pace europea e la prosperità per oltre sette decenni. Il ritorno di Trump riflette sfide strutturali più profonde. Gli Stati Uniti non sono riusciti a distribuire equamente i guadagni della globalizzazione. La deindustrializzazione, la stagnazione, i salari della classe media e la crescente disuguaglianza hanno portato gran parte dell’elettorato americano verso forme di populismo, nazionalismo e protezionismo. I mercati globali non sono più visti come fonti di ricchezza, ma come minacce all’identità e alla sicurezza nazionale.

Le conseguenze sono di vasta portata:

  • Ritiro dalle istituzioni globali: gli Stati Uniti si sono ritirati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dall’Accordo di Parigi sul Clima e continuano a bloccare il meccanismo di soluzione delle dispute all’interno dell’Organizzazione Mondiale del Commercio;
  • Strumentalizzazione della politica economica: tariffe, sanzioni e controlli sulle esportazioni vengono utilizzati come strumenti di pressione, senza riguardo per le partnership a lungo termine o le norme condivise;
  • Confronto con la Cina, che ora è ampiamente vista a Washington come la principale sfida al predominio degli Stati Uniti, da affrontare nel lungo termine.

Al centro di questo confronto vi è proprio la paura di un mondo multipolare plasmato dall’ascesa della Cina. Una Cina potente – in grado di stabilire istituzioni finanziarie, commerciali e di sviluppo alternative – potrebbe infatti indebolire il ruolo del dollaro statunitense come valuta di riserva globale. Questo, a sua volta, renderebbe più fragile l’economia americana, nonché il potere economico e finanziario degli Stati Uniti a livello globale.

 

Il dilemma dell’Europa: tra l’unilateralismo degli Stati Uniti e l’ambivalenza cinese

L’Europa non ha alcun problema fondamentale con un mondo multipolare. L’era degli imperi globali europei è finita. Gli stati membri dell’UE, relativamente piccoli su scala globale, hanno imparato dall’integrazione europea e dall’istituzione del mercato unico ad adattare le loro strutture economiche e le loro politiche nazionali ai cambiamenti. Ma gli sviluppi attuali presentano sfide specifiche.

Gli Stati Uniti, i più stretti alleati e garanti della sicurezza dell’Europa, stanno ora perseguendo una politica estera e commerciale sempre più individualista e, a volte, dannosa. Nel mentre, la Cina – uno dei più importanti partner commerciali per l’Europa– offre una maggiore prevedibilità a lungo termine, ma agisce anche come un concorrente strategico con un approccio ambivalente. Il modello cinese di economia di mercato socialista – con imprese di proprietà dello stato, zone economiche speciali e sussidi da parte dei governi nazionali e provinciali – solleva diverse preoccupazioni in termini di concorrenza. Le sue politiche industriali – con alti tassi di investimento e bassi livelli di consumo – e il lento ritmo della liberalizzazione del mercato distorcono la concorrenza globale e minacciano i posti di lavoro in Europa. Eppure, allo stesso tempo, una classe media in crescita di oltre 400 milioni di persone e un potenziale mercato di consumo di 1,4 miliardi continuano a presentare grandi opportunità per le aziende europee.

L’Europa deve tracciare la propria strada. Allinearsi alla posizione conflittuale di Washington minerebbe l’autonomia economica e politica europea e accelererebbe la frammentazione globale – particolarmente dannosa per un’economia orientata all’esportazione. Allo stesso tempo, impegnarsi con la Cina sotto condizioni poco chiare potrebbe portare a una dipendenza unilaterale. L’UE rappresenta un ordine basato sul diritto, sulla cooperazione e su istituzioni condivise: una lezione appresa dalle guerre e dalla dolorosa storia europea. Questo modello può servire come un’alternativa globale alle politiche di potere nazionali destabilizzanti. Per sviluppare un ordine basato su un sistema di regole, tuttavia, sono necessari dei partner. Se gli Stati Uniti non possono – o non vogliono – sostenere un sistema multilaterale, l’UE deve cercare nuove alleanze. Ciò include offrire alla Cina, nonostante tutte le contraddizioni, la possibilità di costruire un impegno reciproco.

 

Mancanza di fiducia: tensioni economiche e politiche da entrambe le parti

Affinché un rinnovato impegno tra UE e Cina sia credibile, entrambe le parti devono confrontarsi con le profonde lamentele strutturali che continuano a erodere la fiducia del rapporto. Da parte europea, le principali preoccupazioni includono persistenti restrizioni di accesso al mercato in Cina, sovraccapacità industriali causate da sussidi statali e mancanza di reciprocità in settori quali gli investimenti e gli appalti pubblici. Le imprese europee devono inoltre affrontare sfide legate ai trasferimenti forzati di tecnologia, a una insufficiente protezione della proprietà intellettuale e a un sistema normativo poco chiaro che limita, ad esempio, l’accesso a materie prime rare. A complicare ulteriormente questi problemi vi è il crescente deficit commerciale che molti in Europa attribuiscono alla continua dipendenza della Cina da un modello economico basato sulle esportazioni.

Un’altra fonte di preoccupazione è il rapporto sempre più stretto della Cina con la Russia. Il supporto economico di Pechino a Mosca – in particolare a livello energetico e attraverso le esportazioni di beni a duplice uso – è ampiamente percepito in Europa come un sostegno indiretto alla guerra russa in Ucraina. Dal punto di vista della Cina, tuttavia, anche l’UE è responsabile dell’attuale mancanza di fiducia. I funzionari cinesi lamentano un trattamento discriminatorio nei confronti delle imprese cinesi, consistente in restrizioni agli investimenti, tariffe e norme sugli appalti. Essi considerano i controlli sulle esportazioni e le sanzioni – spesso giustificati per motivi di sicurezza nazionale o di diritti umani – come parte di un piano più ampio per contenere la Cina. Questo fenomeno è visto dalla Cina come un avvicinamento dell’UE alla politica conflittuale degli Stati Uniti. Vi è anche una crescente frustrazione relativa al fatto che gli Stati membri dell’UE si stanno avvicinando sempre di più alla strategia militare espansiva messa in atto dagli Stati Uniti – quale l’interesse della NATO nell’Indo-Pacifico. Su Taiwan, Pechino teme che la posizione ambigua dell’UE possa minare la c.d. “Una Sola Cina”, politica di lunga data messa in atto dal governo cinese. Nel complesso, la Cina vede l’UE come carente di autonomia strategica e la osserva agire più come un partner minore di Washington che come un’entità globale indipendente

 

Priorità del vertice: ricostruire la fiducia, favorire la cooperazione

Il vertice UE-Cina rappresenta un’opportunità per ridefinire il tono delle relazioni e gettare le basi per una fase di coinvolgimento più stabile e costruttiva. Entrambe le parti devono riformulare la loro relazione. L’UE deve andare oltre la semplicistica etichetta di “rivale sistemico” e offrire alla Cina l’opportunità di diventare un partner per costruire un ordine internazionale stabile e basato sulle regole. La Cina si trova di fronte a una scelta strategica: perseguire un percorso ‘China first‘ o agire in linea con la sua visione dichiarata di un mondo che offre una cooperazione win-win?

In primo luogo, il vertice dovrebbe essere in grado di risolvere alcuni urgenti problemi commerciali, come l’accesso a rare risorse della Terra, una comprensione comune dell’uso dei dazi doganali compatibile con l’OMC e un assenso sul fatto che né l’UE né la Cina accetteranno accordi commerciali con gli Stati Uniti a spese di terze parti. Inoltre, il vertice dovrebbe andare oltre le questioni quotidiane e sottolineare un impegno condiviso per uno sviluppo sostenibile e un’economia globale guidata da norme di diritto internazionale e da istituzioni multilaterali efficaci.

Una priorità fondamentale dovrebbe essere il rilancio di un dialogo economico costruttivo. I colloqui sull’accesso al mercato, la reciprocità e i sussidi industriali devono riprendere sul serio. L’UE dovrebbe chiarire che prenderà misure di salvaguardia per proteggere i propri interessi economici se non si raggiungono progressi significativi. Allo stesso tempo, entrambe le parti potrebbero esplorare un quadro aggiornato sulla cooperazione in materia di investimenti, potenzialmente ripristinando alcuni degli elementi fondamentali del Comprehensive Agreement on Investment (CAI), naturalmente rivisti. Le tensioni strategiche devono essere affrontate anche attraverso un dialogo regolare. Ciò include discussioni sui principali punti critici geopolitici – come la guerra in Ucraina e la crescente militarizzazione dell’Indo-Pacifico – per evitare errori di calcolo e chiarire le linee rosse.

Parallelamente, l’UE e la Cina dovrebbero lanciare iniziative congiunte in settori chiave di reciproco interesse, in particolare: azioni per il clima, finanza verde, governance dell’intelligenza artificiale e standard digitali. Questi ambiti possono fungere da aree di punta della cooperazione e della responsabilità globale condivisa. Per avere successo, l’UE deve segnalare la propria autonomia strategica impegnandosi con la Cina sulla base dei propri interessi e principi, piuttosto che come mero mandatario per le più ampie strategie di contenimento degli Stati Uniti. Infine, entrambe le parti dovrebbero impegnarsi a riformare le istituzioni internazionali (OMC, FMI, Banca Mondiale e ONU) al fine di rafforzare il multilateralismo, consentire ai paesi del Sud del mondo di essere meglio rappresentati e resistere alla deriva verso l’unilateralismo e la politica di potenza nazionale.

Il vertice di quest’anno dovrebbe essere un momento di dialogo aperto tra i leader politici, con l’obiettivo di tracciare un nuovo corso per la cooperazione UE-Cina in un mondo alla ricerca di un nuovo ordine internazionale.

 

Articolo pubblicato su: https://makronom.de/was-beim-eu-china-gipfel-auf-dem-spiel-steht-49407

Autore: Gerhard Stahl, Peking University HSBC Business School, membro del Consiglio scientifico della FEPS (Foundation for European Progressive Studies), ex -Segretario Generale del Comitato delle Regioni dell’UE.

Riflessioni sul 9 maggio – dalla Comunità del Collegio europeo di Parma

Cosa significa l’Europa per me?

Europa per me è il fecondo valore della diversità, il vitale anelito della libertà, le profonde radici della storia. Europa è magia inebriante dell’arte, bellezza primordiale della natura,forza solida e pacifica della cultura. È il luogo del sacrale rispetto per la persona ed insieme della responsabilità dell’individuo verso la comunità. Dove il pluralismo delle idee, la tutela dei diritti e la valorizzazione dei talenti, liberi di competere e cooperare, creano le condizioni per generare prosperità e benessere diffusi. L’Europa per tutto questo è la mia casa, Europa é casa mia. E spero e voglio con tutto me stesso che possa sempre esserlo, ancora più forte ed aperta al mondo, per i miei figli e per i miei nipoti.

Marco

Cosa significa l’Europa per me?

Per me l’Europa è il luogo in cui comunità, sicurezza, opportunità e libertà si intrecciano. Eppure, per molti, oggi l’Europa appare lontana, incerta, a tratti irrilevante. Proprio per questo credo che la formazione sui temi europei sia essenziale per superare queste distanze, comprendere le sfide comuni e rafforzare il senso di appartenenza.

Solo attraverso la conoscenza possiamo diventare cittadini consapevoli e attori del futuro dell’Unione.

Cosa significa l’Europa per me?

L’Europa rappresenta uno spazio comune fatto di riferimenti geografici, ma soprattutto una realtà in cui vengono condivisi valori comuni.

Al centro di questa costruzione, c’è un’eredità storica composta da riferimenti ed eventi che fanno parte del patrimonio tradizionale comune dei paesi europei. L’idea di un’Europa politica non è solo il risultato degli ultimi settant’anni. Tuttavia, si può affermare che diventa effettiva con la creazione di un sistema istituzionale stabile nel 1957, grazie alla firma del Trattato di Roma. La definizione di Unione Europea è invece dovuta alla ratifica del Trattato di Maastricht nel 1992. Il passaggio dal concetto di “Comunità” al concetto più forte di “Unione Europea” è stato significativo, perché a un certo punto gli Stati membri sono diventati abbastanza maturi da riconoscere che erano legati l’uno all’altro non solo da vantaggi economici.

Oggi, l’UE non è né uno Stato né un’organizzazione internazionale classica, perché le decisioni istituzionali hanno un forte impatto sulla vita dei cittadini europei, tanto quanto le decisioni nazionali. L’Europa è una creatura unica, fondata sul sogno di unità e pace in un continente che è stato segnato da conflitti per secoli. Inoltre, questo sogno non è rimasto solo un’aspirazione generale scritta su vecchie dichiarazioni polverose, ma è diventato concreto, economicamente, politicamente e socialmente parlando. Di conseguenza, la conoscenza della struttura e delle attività dell’UE è fondamentale per esercitare pienamente la cittadinanza europea.

Sono fermamente convinta che il percorso debba essere orientato verso un passo importante e fondamentale per fare dell’Europa una vera entità federale: il progetto di una Costituzione comune. Abbiamo già le basi con la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e le “tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri”.

Sarebbe illusorio considerare, allo stato attuale dei fatti, l’Unione Europea come il “migliore dei mondi possibili”. Ci sono molti miglioramenti che dovrebbero essere fatti per approfondire l’integrazione. L’Europa significa complessità e frammentazione, e spesso gli Stati membri tendono a enfatizzare la loro sovranità nazionale su questioni rilevanti come l’immigrazione, l’ambiente e la protezione sociale. Le sfide presenti e future devono essere affrontate insieme, poiché i paesi europei non sono più competitivi rispetto ai giganti come gli Stati Uniti o la Cina.

Inoltre, credo fermamente che in Europa sia fondamentale scegliere “cosa vogliamo diventare quando cresceremo”. Il contesto internazionale si trova a un bivio: da un lato le guerre, dall’altro la rivoluzione dell’I.A. (rivoluzione ontologica), e l’UE dovrebbe passare dall’adolescenza all’età adulta, formando la propria identità e diventando capace di mantenere una posizione ferma e comune. Questo è possibile solo tornando alle origini dell’Unione per recuperare lo scopo originale, adattandolo poi alla contemporaneità.

Per essere più concreti, le linee guida originali come i principi di democrazia, uguaglianza e pace dovrebbero essere integrate con la protezione dell’ambiente e una tecnologia orientata all’essere umano.

Laura Gigliotti

 

Cosa significa l’Europa per me?

Per me, l’Europa non è semplicemente un continente o un insieme di paesi: è, prima di tutto, uno spazio di scambio, comunicazione e sicurezza. È un luogo in cui idee, lingue, storia, culture, tradizioni e, soprattutto, persone attraversano i confini, creando così un modello unico di integrazione.

Non mi sono mai sentita veramente appartenere solo a uno Stato. In effetti, il mio senso di appartenenza è sempre stato più ampio, soprattutto considerando che provengo da una regione transfrontaliera. Ecco perché, dal mio punto di vista, essere europea è molto più di una semplice considerazione: è un privilegio che deve essere protetto e difeso.

Far parte dell’Europa significa appartenere a una comunità di persone che, nonostante le loro differenze, hanno scelto di condividere un cammino comune. Insieme, abbiamo deciso di costruire il nostro futuro sulla comunicazione e sulla pace, piuttosto che sulla divisione e sul conflitto.

Per concludere, l’Europa può essere paragonata a un porto sicuro in cui cercare protezione nei momenti di incertezza. Un esempio straordinario di cooperazione. È il nostro passato, il nostro presente e il nostro futuro.

Veronica Dreassi

 

Cosa significa l’Europa per me?

“Uniti nella diversità”, non c’è modo migliore per iniziare a spiegare cosa significhi l’Europa per me. Siamo 27 paesi con culture, lingue, tradizioni, pensieri politici diversi e, tuttavia, siamo stati in grado di creare una nuova e unica entità: l’Unione Europea. Un’entità che persino gli esperti faticano a definire, poiché si tratta di un’organizzazione completamente innovativa.

Non voglio concentrarmi su cosa sia tecnicamente l’Unione Europea, ma piuttosto su cosa rappresenti per me. L’UE significa opportunità, libertà, multiculturalismo, multilinguismo e forza, ma anche sfida, negoziazione e compromesso. Questo per dire che, grazie all’UE, godiamo di molti diritti e benefici, ma non sono stati conquistati facilmente. L’Unione Europea che conosciamo oggi è il risultato di un lungo e complesso processo, durante il quale gli Stati membri hanno dovuto imparare a dialogare, a raggiungere compromessi e a lavorare insieme.

Quando le persone mi chiedono perché tengo così tanto all’UE e perché sia importante per me, la prima cosa che mi viene in mente è: la libera circolazione. Appartengo alla “generazione Schengen ed Euro”: non ho mai usato la vecchia valuta italiana e non ho mai sperimentato i controlli alle frontiere all’interno dell’UE. Solo quando ho viaggiato fuori dall’UE/dallo Spazio Schengen e ho affrontato tutta la burocrazia per ottenere un visto, ho veramente capito quanto siamo fortunati, come europei, a poter godere della facilità di movimento.

Una volta, il mio insegnante di liceo mi disse: “Quando viaggerai fuori dall’Europa, capirai cosa significa essere europei”. Ebbene, ho capito che far parte dell’UE è un privilegio, ma non possiamo darlo per scontato. L’UE è un progetto in continua evoluzione, e ognuno di noi può contribuire a plasmarne il futuro.

Valentina Giombetti

 

Cosa significa l’Europa per me?

Durante la mia adolescenza, come la maggior parte dei giovani, ho iniziato a pormi delle domande, a interrogarmi su ogni sorta di cosa. Sentivo che la mia comprensione del mondo era limitata e che dovevo approfondire, leggere ciò che altre persone più intelligenti ed esperte avevano scritto nel corso del tempo sulle questioni fondamentali dell’esperienza umana.

Ovviamente, avevo già iniziato questo percorso a scuola, leggendo autori italiani come Dante, Montale, D’Annunzio, ecc., ma non era affatto sufficiente. Ho trovato solide basi in Kierkegaard, poi Žižek, Chesterton, Camus, Ionesco, Pastakas e molti altri. Entrando nell’età adulta, la mia coscienza, il mio sistema di credenze e il mio modo di ragionare si sono formati grazie a una moltitudine di autori provenienti da diverse nazioni. E mentre, naturalmente, mi sentivo italiano, percepivo anche un forte legame con i miei concittadini europei, con i quali, a volte, paradossalmente, mi sentivo di condividere più cose che con i miei stessi connazionali. È stato bello scoprire che, grazie agli sforzi di grandi statisti come Schumann, De Gasperi, Delors e molti altri, quel sentimento non doveva essere semplicemente una caratteristica del mio carattere, ma era già stato tradotto in un’entità politica comune che ci permetteva di avere un’identità condivisa non solo nella mente, ma anche nella pratica.

Ho iniziato a capire come l’interconnessione tra le nazioni europee potesse promuovere non solo la prosperità economica, ma anche lo scambio culturale e la crescita intellettuale. L’Unione Europea, con i suoi confini aperti e i suoi quadri di collaborazione, è diventata un simbolo di speranza e progresso, un faro di libertà basato su valori fondamentali che sono stati sviluppati in questo continente e che, oggi, sono minacciati.

L’idea originale dell’Europa, un continente in cui nazionalismo e isolazionismo potessero essere superati attraverso la cooperazione e la comprensione reciproca, è stata oscurata dai fallimenti materiali dell’economia negli ultimi anni, dando vita, in tutto il mondo, a movimenti che cercano di tornare a un mondo di palizzate, bombe e orrori.

Ci siamo abituati al nostro stato di relativa prosperità e libertà. Mentre alcuni potrebbero sostenere l’idea di voltare le spalle a tutti i progressi che abbiamo realizzato, io credo fermamente che dovremmo lottare per una maggiore apertura, piuttosto che per un arroccamento; per lo scambio, piuttosto che per l’isolamento. L’idea di un’Europa unita possiede ancora un immenso potenziale che aspetta solo di essere realizzato, e spetta a noi farlo.

Matteo Pintore

 

Cosa significa l’Europa per me?

L’Europa è una promessa di pace e prosperità. A 75 anni dalla Dichiarazione di Schuman, che ha avviato la creazione della prima Comunità Europea, l’Unione Europea può giustamente celebrare il fatto di aver mantenuto quella promessa. Certamente, non è perfetta e molte persone si lamentano dell’Unione, ma le ultime generazioni non hanno mai combattuto una guerra in Europa e l’europeo medio gode di un buon tenore di vita, in Stati democratici ed economicamente avanzati.

L’Europa è una garanzia per tutti i nostri diritti e le nostre libertà. L’Unione Europea rappresenta un’area di libertà che è eccezionale nel mondo. Una gran parte del pianeta, governata da regimi autoritari e colpita da sottosviluppo economico, non riconosce affatto i diritti e le libertà che per un cittadino europeo medio sono considerati normali, se non addirittura scontati.

L’Europa è un metodo. È l’importanza di tutte le voci coinvolte che, attraverso processi difficili, cercano di raggiungere decisioni buone o almeno accettabili per tutti. Un’organizzazione democratica sovranazionale unica nel suo genere. Basta considerare la difficoltà di raggiungere accordi tra 27 Stati membri o anche solo di ottenere una maggioranza qualificata, senza parlare delle sfide di un Parlamento multinazionale, con tutte le lingue diverse parlate, che deve raggiungere anch’esso una maggioranza quando coinvolto nel processo legislativo.

L’Europa è diversità e, nonostante le differenze, gli Stati membri hanno trovato un modo per coesistere pacificamente in un continente in cui, per secoli, la guerra era il mezzo standard per risolvere le dispute tra Stati.

L’Europa è una speranza rassicurante. La possibilità di raggiungere un livello di prosperità maggiore unendo le forze delle diverse economie europee. La possibilità di arricchire ogni paese con l’esperienza degli altri. La possibilità di sinergie economiche o politiche. La possibilità di libera circolazione, per trovare un lavoro ovunque nell’Unione o per decidere di rimanere nel proprio paese di origine.

L’Europa è una struttura giuridica complessa che implica l’integrazione di molte leggi nazionali diverse sotto il primato del diritto europeo. L’Europa è la stabilità rappresentata dalla Banca Centrale Europea e dalla moneta unica.

L’Europa è il Mercato Unico. Una grande opportunità per tutte le nostre imprese di competere in un mercato più ampio di quello nazionale, una possibilità di crescita più ricca. Implica le quattro libertà che, in un certo senso, hanno cambiato la vita degli europei.

L’Europa è il progetto Erasmus. La possibilità per gli studenti europei di vivere un’esperienza in un altro paese durante gli anni universitari e di capire quanto sia vasta la nostra Unione e quanto siano diversi gli europei, pur facendo parte della stessa storia di integrazione.

L’Europa è la possibilità per tutti gli Stati membri di far parte di un’entità capace di giocare un ruolo sul palcoscenico mondiale. L’Unione Europea, insieme, può competere con tutte le grandi potenze in tutti i campi.

In conclusione, per me l’Europa è l’unica strada verso un futuro pacifico e prospero.

Augusto Crestani

 

Cosa significa l’Europa per me?

L’Unione Europea rappresenta una delle più grandi conquiste della civiltà umana, un esempio duraturo di ciò che le persone possono realizzare attraverso la pace, la cooperazione e i valori comuni.

Nata all’indomani di guerre devastanti, l’UE riflette la profonda consapevolezza che la guerra non solo blocca il progresso economico, ma danneggia anche la crescita morale e personale degli individui e delle società.

Rappresenta un cambiamento significativo nel modo in cui la regione vede sé stessa, costruita su un forte impegno verso i diritti umani universali e i valori fondamentali che ne costituiscono il principio guida.

Eppure, l’UE non è solo un prodotto della storia; è anche un progetto nuovo e in continua evoluzione, un motore vivo di integrazione che continua a promuovere, proteggere e praticare i suoi valori di democrazia, diritti umani e stato di diritto quotidianamente nei suoi 27 Stati membri.

Facendo questo, l’UE può essere vista sia come un simbolo sia come un meccanismo di progresso continuo, dimostrando che l’unità nella diversità non è solo possibile, ma essenziale per un futuro migliore, non solo in Europa, ma potenzialmente ovunque.

Matteo Sartorio

Cosa significa l’Europa per me?

Per me, l’Europa rappresenta sia una realtà vissuta che un’aspirazione condivisa, un progetto radicato nella pace, nell’unità e nella convinzione che la cooperazione possa superare i conflitti. Mentre celebriamo il 75° anniversario della Dichiarazione di Schuman, rifletto non solo sui successi storici dell’Europa, ma anche su ciò che l’Unione Europea continua a significare per la mia generazione e per il futuro che stiamo costruendo insieme.

L’Europa è, prima di tutto, uno spazio di pace. La Dichiarazione di Schuman immaginava un continente in cui la guerra non sarebbe stata solo “impensabile, ma materialmente impossibile”. Questa visione ha posto le basi per una stabilità senza precedenti, sostituendo secoli di rivalità con il dialogo e l’interdipendenza. Per me, l’UE è un promemoria quotidiano che la diplomazia, il compromesso e le istituzioni comuni possono superare anche le divisioni più profonde.

L’Europa è anche una comunità di valori. La democrazia, lo stato di diritto, la dignità umana e la solidarietà non sono principi astratti. Sono luci guida che orientano le politiche, proteggono i cittadini e rafforzano le nostre società. Come persona profondamente interessata al diritto europeo e alle politiche pubbliche, ammiro l’impegno dell’UE nel difendere questi valori in un contesto globale sempre più complesso e difficile. Non è sempre facile, ma resta essenziale.

Personalmente, l’Europa mi ha dato opportunità che non sarebbero esistite senza l’integrazione. La possibilità di studiare in lingue diverse, di collaborare con coetanei oltre i confini, di viaggiare liberamente e sentirmi a casa in diversi paesi: queste esperienze hanno modellato chi sono. Mi hanno reso più aperto, più curioso e più consapevole della responsabilità che deriva dall’essere cittadino europeo.

L’Europa è più che istituzioni e libertà. È un’unione di diversità. Ciò che mi ispira di più è come l’UE trasformi la differenza in forza, come 27 nazioni, ognuna con la propria lingua, storia e identità, riescano a legiferare, negoziare e immaginare un futuro comune. Non è sempre semplice, ma l’atto stesso di unirsi è ciò che dà all’Europa il suo carattere unico e la sua resilienza.

Allo stesso tempo, l’Europa è un progetto ancora in corso. Nuove sfide come il cambiamento climatico, le migrazioni, l’erosione democratica e l’instabilità geopolitica richiedono un impegno rinnovato. La Dichiarazione di Schuman era audace per la sua epoca, ma il suo spirito di innovazione e cooperazione è altrettanto necessario oggi. Essere europei significa impegnarsi attivamente in questa storia in evoluzione, contribuire con idee, chiedere conto alle istituzioni e non dare mai per scontata l’unità.

Per me, l’Europa è speranza. Non un ottimismo ingenuo, ma la convinzione che siamo più forti quando lavoriamo insieme, nonostante le nostre differenze. È sia un privilegio che una responsabilità far parte di questa Unione, e sono determinato a contribuire a plasmarne il futuro.

Settantacinque anni dopo la visione di Robert Schuman, vedo l’Europa non solo come una struttura politica, ma come una promessa di pace, progresso e appartenenza.

Francesca Pallucchini

 

Cosa significa per me l’Europa?

che senso ha una tale domanda? Come dire cosa significa per me la famiglia!

Appartengo, anzi ho la fortuna di appartenere, ad una generazione che non ha conosciuto né la guerra né le frontiere, ha solo avuto euro in tasca, può comunicare per telefono, o meglio attraverso il telefono, in qualsiasi paese europeo, inoltre ho la fortuna di poter comunicare nelle più diffuse lingue veicolari europee.

Quindi, l’Europa fa parte della mia vita. Allo stesso tempo, mi rendo conto che per molti giovani anche della mia generazione, i vantaggi dell’Europa sono meno visibili, a loro vorrei dire che i problemi, più grandi di noi, che abbiamo di fronte nel mondo possono trovare una soluzione se gli Stati europei agiscono insieme, in modo coordinato. Molto spesso una buona parte dei problemi che abbiamo li hanno anche i giovani di altri paesi, quindi tanto vale trovare delle soluzioni comuni. La delusione è che spesso i politici nazionali guardano più al breve termine ed ai piccoli interessi di chi li vota. Troppo spesso abbiamo uomini e leader politici ma non veri Leader.

Oscar 

9 maggio: l’Europa 75 anni dopo la dichiarazione Schuman

Alfredo De Feo

Il 9 maggio è una data importante per l’Europa: la dichiarazione lanciata da Robert Schuman nel 1950 segna l’inizio del progetto europeo ed apre un periodo di pace senza precedenti nella storia dei nostri paesi.

L’idea di costruire la pace in Europa attraverso una collaborazione tra gli Stati, era nata con il Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni e con le esortazioni di Winston Churchill, nei celebri discorsi di Zurigo e dell’Aja. Ma fu Robert Schuman, ministro degli esteri francese, che concretamente raccolse la sfida facendo un appello agli altri Stati. Traducendo la spinta ideale di Spinelli ed altri in azione politica.

L’8 maggio, Robert Schuman presentò il suo piano, preparato nella più grande discrezione insieme a Jean Monnet.  ai ministri dell’Economia del Regno Unito, dell’Italia e dei tre paesi del Benelux. La sera dell’8 maggio, tutti i documenti preparatori furono distrutti. Dopo l’assenso dei Ministri dei 5 paesi,  Schuman inviò un  suo emissario personale a Bonn che informò Konrad Adenauer della proposta francese. La mattina del giorno successivo, appena ricevuta la notizia della reazione entusiasta del Cancelliere  Adenauer, Schuman informò il Governo francese e convocò la conferenza stampa che si sarebbe tenuta al Quai d’Orsay il 9 maggio alle 18.

Robert Schuman presento’ cosi la dichiarazione che avrebbe aperto la strada al processo di integrazione, per piccoli passi, dei sei paesi fondatori della Comunità europea.

La dichiarazione Schuman formulò in modo semplice una serie di obbiettivi che vennero condivisi da statisti come Konrad Adenauer ed Alcide De Gasperi e dai paesi del Benelux. Piccolo particolare le discussioni tra i tre leader dei paesi del dopoguerra avvenivano in tedesco.

Il  linguaggio della dichiarazione è semplice, indica l’obiettivo ambizioso, costruire l’unità dell’Europa, ma in modo realistico « Europa non potrà farsi un una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto.

La motivazione profonda della Dichiarazione, si ritrova nelle prime righe L’Europa

non è stata fatta : abbiamo avuto la guerra…..La pace mondiale non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionata ai pericoli che la minacciano.

 

Quindi il 9 maggio 1950 pone l’obiettivo di costruire e preservare la pace.

 

Il ricordo di un anniversario importante non deve però essere un momento rivolto solo al passato ma guardare al presente ed al futuro. L’Europa si è costruita per tappe.  Jean Monnet sosteneva che  l’Europa sarà forgiata nelle crisi e sarà il risultato delle risposte alle crisi. Quando tutto sembrava finito, ma poi tutto ripartiva. Questo ci rende fiduciosi.

 

Nell’Europa di Delors dominava uno idealismo europeo: la realizzazione del Mercato Unico, la caduta del muro di Berlino, l’entusiasmo per le nascenti democrazie nell’europa centrale ed orientale, ed infine, ma non ultimo, la nascita della moneta unica.

L’alba del nuovo millennio ha visto crescere un certo scetticismo sul processo di integrazione. Le difficoltà di integrazione dei paesi entrati a far parte dell’Unione Europea, le crisi finanziare e le crisi dell’Euro, la Brexit, la pandemia, l’espansionismo russo ed infine il cambio di amministrazione negli Stati Uniti obbligano l’Europa di oggi ad una prova difficile il cui risultato non è scontato.

 

D’altra parte intorno a queste crisi si è ricreata una rinnovata unità europea, che ha permesso di negoziare compatti con il Regno unito, di sostenere l’Ucraina, di lanciare il debito comune con il piano di ripresa e resilienza, tutti elementi che, pur con i problemi di applicazione, che hanno ridato speranza e senso di appartenenza Europea ad una maggioranza di cittadini europei.

 

Detto questo, non si possono nascondere segnali preoccupanti: la crescita di partiti nazionalisti e pro russi in molti paesi europei, gli attacchi della nuova amministrazione americana per dividere l’Europa. Lo scenario geopolitico stanno cambiando, ma l’equilibrio non è stato ancora raggiunto. Tutte le dichiarazioni dal Presidente Trump, alla Presidente von der Leyen alla Presidente Meloni e di tutti i leader mondiali fanno parte di un tatticismo che dovrà trovare un punto di caduta.

 

L’Europa ha certo delle debolezze, soprattutto sul piano tecnologico, nella capacità di innovare, debolezze che in buona parte sono attribuili alla non-Europa, cioè tutto quello che l’Europa avrebbe potuto fare ma non ha, ancora, fatto. Le conclusioni del Rapporto Letta sul completamento del mercato unico, e di quello di Mario Draghi sul rilancio della competitività europea ed infine le raccomandazioni della Presidente della BCE Christine Lagarde, che incita a procedere speditamente sulle riforme, danno speranza che ci sono gli spazi per un rilancio europeo.

 

Per concludere, l’Europa ha molte armi per difendere la propria sovranità ed il proprio modello di sviluppo. Non possiamo che augurarci che gli Stati, sotto  l’impulso ed il coordinamento delle Istituzioni europee, prendano le decisioni coraggiose, come hanno saputo fare in passato, perché è cosi che l’Europa di oggi funziona e non ci si deve nascondere dietro il paravento dell’unanimità. Già in passato molte decisioni importanti sono state prese dagli Stati che ci hanno creduto, lasciando la porta aperta agli altri, cosi è stato per la creazione dell’Euro, per l’accordo di Schengen sull’abolizione delle frontiere interne all’Unione. L’Europa dei volenterosi permetterà di fare un balzo in avanti anche in questa crisi.

 

https://www.cvce.eu/en/obj/ninth_and_final_draft_of_the_schuman_declaration_6_may_1950-en-4909847d-df12-4c67-83d2-8e0978da025b.html

Europa: Eppur si muove

Di Alfredo De Feo

Quando si vive una vita normale, fatta di preoccupazioni quotidiane, bambini, salute necessità di risolvere gli inevitabili problemi, piccoli e grandi, è difficile concentrarsi su quanto avviene nel mondo, le strategie geopolitiche, i rischi per la nostra economia quindi per il nostro stile di vita ed il nostro benessere, per il futuro dei nostri figli. È difficile ma dobbiamo farlo.

Per lunghi decenni, la coesistenza tra i paesi si è basata su una serie di principi basilari: il rispetto della democrazia e dell’autonomia dei vari paesi, il rispetto delle regole internazionali, il non uso della forza per risolvere tensioni, la promozione di un commercio mondiale sempre più libero e senza barriere doganali che aumentasse il benessere dei cittadini in modo generalizzato. Il tutto garantito da una serie di organizzazioni internazionali.

Ci piaccia o no, la guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina nel febbraio 2022 ha innescato una svolta negli equilibri del mondo. Le tensioni in Medio-oriente, al confine sud dell’Europa, hanno aggravato la situazione.

L’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, nel gennaio 2025, ha portato un ulteriore scossone all’equilibrio mondiale, con un forte impatto sull’Europa ed i suoi Stati. Non ho bisogno di enumerare i proclami ed i contro proclami del Presidente Trump e del suo cerchio ristretto. I governi europei devono affrontare le sfide e prendere delle decisioni difficili, sapendo guardare al medio-lungo termine, piuttosto che ai sondaggi immediati ed avere la capacità di spiegare ai cittadini il senso di scelte che possono apparire nel breve termine impopolari.

Il mandato all’unanimità dato dagli Stati e dalla maggioranza del Parlamento europeo è un primo segnale che l’Europa è pronta a stare unita e cominciare a creare delle sinergie in materia di difesa. L’altro aspetto positivo, che traspare dal libro bianco, è che si comincia a costruire qualcosa partendo dagli Stati, con l’obiettivo di coordinare meglio la produzione e gli acquisti di materiale bellico, sviluppare una condivisione di informazione dei servizi di intelligence nazionali, lo stesso vale per la tecnologia le comunicazioni e cosi via.

Una buona parte di queste iniziative, che vedremo meglio solo quando saranno presentate le proposte, saranno finanziate con debito comune garantito da tutti gli Stati. Sull’esempio di quanto fatto con il Next Generation EU. Questo piano, favorito dall’ allentamento delle regole del Patto di Stabilità, dovrebbe a termine consentire agli Stati Europei di essere più autonomi nella difesa del proprio territorio e dei propri valori, una prima risposta al disimpegno americano dalla difesa dell’Europa.

A questo, si deve segnalare la svolta in atto in Germania dove, sotto la guida del futuro cancelliere, Friederich Merz, sarà votata una riforma costituzionale per sopprimere il limite di spesa per finanziare spese legate alle infrastrutture all’ambiente ed alla difesa. Una vera e propria rivoluzione.

Seconda emergenza, quella del commercio. Il Presidente Trump ha iniziato ad introdurre dazi su molte merci importate, dando vita alle ritorsioni da parte dei paesi colpiti, creando di fatto un forte impoverimento dell’economia dei paesi (Europei e non) colpiti. Difficile dire a questo stadio tali dazi siano l’obiettivo finale del Presidente americano o solo una strategia negoziale, ma nei due casi questi atteggiamenti richiedono delle prese di posizione da parte dell’Europa, altrettanto forti. Con posizioni forti e decise sarà d’altra parte più facile negoziare.

Difficile dire se i leader europei sapranno essere solidali tra di loro nell’interesse di difendere la sovranità nazionale ed europea. È una grande opportunità ma non è sicuro che tutti sappiano coglierla. D’altra parte va ricordato che i Trattati europei prevedono la possibilità di portare avanti azioni con la cosiddetta “cooperazione rafforzata” (con la partecipazione di almeno nove stati) o in ultima analisi, attraverso accordi tra gli Stati, al di fuori del quadro giuridico dell’Unione Europea, come per esempio stanno facendo Francia ed Inghilterra per garantire il sostegno all’Ukraina (la coalizione dei volenterosi).

Per concludere, l’opinione pubblica dovrebbe essere cosciente che le sfide che abbiamo di fronte non riguardano gli altri ma noi stessi, la nostra libertà i nostri valori, non vogliamo lasciare ai nostri figli la scelta se vivere da sudditi americani o sudditi cinesi o russi ma di essere orgogliosamente europei con le nostre identità nazionali. Può essere motivo di ottimismo sapere che la generazione Erasmus è più avanti e questo lo ha già assimilato.

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma 18 Marzo 2025

Le ragioni del ReArm Europe

Di Marco Ziliotti

Il 6 marzo scorso ventisei capi di Stato e di governo dell’Unione Europea, superando (finalmente!) la regola dell’unanimità, hanno approvato il piano denominato ReArm Europe. Declinato in cinque punti, esso istituisce uno strumento finanziario comune europeo, che fornirà 150 miliardi di euro agli Stati membri per investimenti nella difesa; introduce una deroga (clausola di salvaguardia) ai parametri del patto di stabilità e crescita, che apre uno spazio fiscale ai singoli Stati per spese per la difesa di ulteriori 650 miliardi; promuove la mobilitazione di capitali privati, tramite la Banca Europea per gli Investimenti, al fine di incentivare gli ingenti risparmi europei al finanziamento di imprese domestiche del settore difesa.

Dunque, un pacchetto da 800 miliardi di sole risorse pubbliche, oltre a quelle private, che, da un lato, con la deroga da 650 miliardi, manda di fatto in soffitta i vincoli dell’appena nato patto di stabilità e crescita; dall’altro, col fondo europeo da 150 miliardi, compie il primo passo verso la costituzione di un vero sistema di difesa comune, necessariamente finanziato da comuni risorse.

Il progetto, per le sue dimensioni e soprattutto per la natura dei suoi obiettivi, può a tutta evidenza essere definito di portata storica. È altrettanto evidente che “ReArm”, per di più “a casa nostra”, è una parola che non dovrebbe suscitare entusiasmo da parte di nessuno. Ben comprensibile, quindi, che l’iniziativa abbia provocato un acceso dibattito, non solo nelle stanze della politica di professione, ma anche fra l’opinione pubblica e nelle coscienze stesse dei cittadini. Il ché è bene, volendo fortemente continuare a credere che il libero confronto dialettico tra idee sia il valore più prezioso delle nostre democrazie liberali.

Ma, in un tornante della Storia oggettivamente così complesso, è indispensabile avere chiari alcuni cruciali elementi di contesto. Primo dato di fatto è il velocissimo e rilevante incremento dei rischi geopolitici per i Paesi europei. Intendiamoci: non si tratta qui di evocare scenari con la cavalleria cosacca in Piazza S. Pietro; ma è innegabile l’inquietante crescendo dell’uso della forza contro l’Europa da parte della Russia di Putin. Violenza militare vera e propria, mobilitando tutte le risorse umane ed economiche disponibili, in Ucraina. Ma pure violenza nella forma insidiosa della guerra ibrida: continui cyberattacchi, sempre più aggressivi e diffusi, ai sistemi informatici prevalentemente di enti pubblici; ingerenze sempre più pervasive sulle opinioni pubbliche, soprattutto in occasione degli appuntamenti elettorali, con massiccia e scientifica diffusione di fake news e tramite sostegno – più o meno coperto – a formazioni politiche e partiti apertamente antieuropeisti, quando non espressamente filorussi. Il ripristino della storica influenza russa con un perimetro analogo a quello dei tempi dell’U.R.S.S. è un obiettivo dichiarato; e non è certamente di conforto che, come affermato pochi giorni fa dal portavoce del Cremlino Dmitry Peskov, “la visione della nuova amministrazione americana riguardo alle configurazioni di politica estera coincide in gran parte con la nostra visione”.

Secondo punto: quanto sopra pone un problema urgente di deterrenza. Urgente: sarebbe certamente meglio partire prima con la costituzione di un sistema di difesa unica europea e solo dopo procedere al riarmo. Ma non c’è tempo. Per fare l’Euro ci sono voluti almeno dieci anni (dalla crisi del Sistema Monetario Europeo al 1° gennaio 2002, quando la moneta unica cominciò a circolare fisicamente). L’esercito europeo necessita di un lungo processo di costruzione, legato a doppio filo con l’edificazione di una casa politica comune. Deterrenza, che non significa affatto volontà bellicista, ma, esattamente al contrario, rafforzamento del potere negoziale; unica strada per rendere realistica – e non solo una vacua invocazione – la prospettiva di soluzioni diplomatiche sulle basi più durature e meno ingiuste possibili.

Terzo aspetto, forse il più delicato: la spesso evocata pretesa alternativa della spesa in burro anziché in cannoni. Chi, a priori, non preferirebbe che la spesa pubblica privilegiasse scuole ed ospedali rispetto a scopi militari? Ma, posta in termini decontestualizzati, la domanda ancora una volta rischia di essere pericolosamente – o, peggio, colpevolmente – fuorviante. In primo luogo, va ricordato, perché la spesa in sistemi difensivi, al giorno d’oggi, non consiste tanto in bombe e fucili, bensì prevalentemente in ricerca e sviluppo di tecnologie avanzate (sicurezza informatica, intelligence), con comprovate esternalità positive in termini di innovazioni ampiamente utilizzabili in ambito civile (si pensi, solo per citare due possibili esempi, ai droni ed ai sistemi di cybersicurezza). Non solo, ma la consistente mole (800 miliardi di euro) di risorse mobilitate può consentire massicce operazioni di riconversione di settori industriali in crisi (automotive, per esempio), generando sostegno all’occupazione ed effetti economici moltiplicativi (in passato, si sono calcolati moltiplicatori della spesa militare – soprattutto se indirizzata a tecnologie innovative – pari fino all’1,5: la spesa di 1 euro genera un aumento del PIL di 1,5 euro, cioè crea un reddito che supera del 50% l’autofinanziamento della spesa stessa).

Ma, prima ancora dell’affermazione – antiestetica finché si vuole, ma vera – che gli investimenti in sistemi di difesa possono rappresentare un efficace volano per l’occupazione e la crescita economica, il paventato conflitto tra spesa militare e welfare sociale parte da un equivoco di fondo. La sicurezza – garantita proprio dai sistemi di difesa – è indispensabile presupposto rispetto ad ogni altro elemento costitutivo del benessere collettivo. Qualsiasi diritto (all’istruzione, alla salute, al lavoro) poggia necessariamente sulla sussistenza del diritto più fondamentale che ci sia: la sicurezza dell’integrità fisica della persona e dei suoi beni (materiali ed immateriali).

Quindi, così come siamo tutti pienamente consapevoli che per garantire tale diritto alla sicurezza rispetto ai pericoli “interni” sia indispensabile destinare adeguate risorse al finanziamento delle preposte forze dell’ordine (Polizia, Carabinieri, eccetera), occorre riacquisire altrettanta consapevolezza – offuscata per lungo tempo dall’illusione di un eterno e gratuito ombrello americano – che pure le forze armate (Esercito, Aviazione, Marina) sono altrettanto indispensabili per tutelare esattamente lo stesso diritto rispetto a rischi “esterni”.

A chi invoca l’ideale di una “Europa neutrale”, sarebbe salutare ricordare che il Paese neutrale per antonomasia, la Svizzera, ha fondato la sua vocazione alla neutralità (oltre che su una posizione geografica che non ha mai interessato a nessuno e ad un segreto bancario che ha fatto comodo a tutti) su un’antica abilità guerriera – non a caso, i Papi da oltre cinquecento anni hanno scelto le Guardie Svizzere a difesa del Vaticano – e su un obbligo di leva universale in cui, dopo il primo servizio sotto le armi, per dieci anni si è chiamati a ritornare in caserma per periodici corsi di ripetizione.

Una adeguata capacità di difesa rappresenta la polizza assicurativa posta a garanzia della pace, bene sommamente prezioso; e, come accade per tutte le assicurazioni, se ne paga il premio proprio nell’intento di non doverla mai utilizzare.

Pubblicato su la Gazzetta di Parma martedì 11 marzo 2025

L’amministrazione americana e la sovranità europea

Ci sono delle date nella storia che hanno un impatto sui cittadini e sull’opinione pubblica. Per esempio, come non ricordare il marzo 2020, quando quasi in contemporanea il mondo si è fermato a causa di una pandemia che ha ricordato a tutto il mondo la fragilità dell’essere umano specialmente in un modo globalizzato. Il 22 febbraio 2022, quando l’aggressione all’Ukraina da parte della Russia, rompeva un equilibrio di pace mettendo fine ad alcuni principi basilari del diritto internazionale come il rispetto della sovranità di uno Stato con il rischio concreto non solo di estensione del conflitto ma anche il rischio di violazioni delle sovranità nazionali, attraverso azioni militari o sofisticate ingerenze informatiche. O ancora il 7 ottobre 2023 quando i brutali attacchi di Hamas contro il popolo israeliano ha riaperto il mai sopito conflitto Israele-Palestinese, con il suo carico di massacri e tensioni ed il rischio di destabilizzare l’intera regione con conseguenze umane, economiche difficilmente calcolabili.

Il 20 gennaio 2025 potrebbe diventare una data che potrebbe essere ricordata nella storia dei paesi europei. L’ingresso alla Casa Bianca del neo rieletto Presidente Trump rischia infatti di incidere sulla vita di noi europei. Ovviamente non sappiamo se e come i proclami elettorali si tradurranno in azioni e politiche concrete, ma pur ammettendo che più indizi non fanno una prova, ci sono sufficienti motivi per essere preoccupati. Mi limito a segnalare tre minacce concrete alle quali i paesi europei dovranno farsi trovare pronti a dare delle risposte efficaci. Queste minacce sono:

L’introduzione di dazi sui prodotti europei, la de-regolazione globale dall’uso/abuso dell’intelligenza artificiale, dei social e sdoganamento delle cripto-valute ed il disimpegno militare americano dall’Europa.

Il tema dei dazi è quello che potrebbe tentare gli Stati europei ad andare a trattare bilateralmente con l’amministrazione americana. Una trattativa separata dei singoli Stati, permetterebbe di strappare alcune concessioni ma il prezzo da pagare sarebbe comunque elevato sia in termini di importazioni che in aumento dell’influenza americana sulle politiche nazionali nei vari paesi. Gli Stati europei dovrebbero difendere la propria sovranità cercando di preparare una risposta comune alle iniziative americane, cercando di evitare una guerra commerciale, dannosa per tutti, e cercando di instaurare un negoziato per raggiungere un accordo commerciale globale, che può essere raggiunto solo con la capacità degli Stati di trovare obiettivi condivisi da tutti gli Stati.

Nel settore delle tecnologie l’Europa ha un grosso ritardo produttivo ma è stata all’avanguardia nel regolamentare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale (IA act) per permettere un uso responsabile a beneficio dei consumatori e per la difesa dei diritti d’autore. Parallelamente sono state adottate misure per regolamentare i servizi Digitali ed il Mercato Digitale, misure tendenti a limitare lo strapotere delle piattaforme digitali, come Amazon, Facebook, TikTok, Google ed altri. A questo si deve aggiungere le probabili pressioni esercitate dal potente consigliere di Trump, Elon Musk per ufficializzare e liberalizzare il mercato del cripto valute (di cui tra l’altro è proprietario di una di queste). Gli Stati Europei hanno tutto l’interesse a regolamentare anche i settori dei servizi e del mercato digitale e del cripto valute, per non farsi trovare impreparati e resistere alle probabili pressioni di deregulation che verosimilmente arriveranno dalla nuova amministrazione americana. Solo con una posizione forte gli Stati europei potranno proteggere i loro cittadini e mantenere la loro sovranità nazionale.

Infine il problema della sicurezza e della protezione del territorio europeo da attacchi esterni. La protezione finora garantita dallo scudo americano all’interno della NATO rischia di venir meno. Gli Stati Uniti, chiedono da tempo un maggiore impegno finanziario nella difesa all’interno della Nato, richieste che hanno trovato solo un orecchio distratto dalla maggior parte dei governi europei. La nuova amministrazione americana rischia di non fare sconti e costringere gli Stati europei ad aumentare le spese per la difesa.

Questo pone tre ordini di problemi, finanziario, produttivo e militare. Le finanze pubbliche di quasi tutti gli Stati non hanno, individualmente, le risorse per sostenere delle spese, che oltretutto solleverebbero forti critiche e resistenze da parte delle opinioni pubbliche. La soluzione potrebbe essere trovata, sul modello messo in campo nel post Covid, nell’ emissione di debito comune europeo per finanziare una maggior presenza europea alla propria difesa militare.

Il secondo problema è di ordine produttivo, se gli Stati europei non vogliono continuare a finanziare le industrie americane di armi, devono accordarsi per indirizzare la produzione verso un numero di modelli di armi ridotto, rinunciando alle pretese eccellenze nazionali. Cosa non facile ma indispensabile per investire nell’industria europea come d’altra parte raccomandato nel rapporto di Enrico Letta.

Per ultimo, l’aspetto militare il semplice coordinamento delle iniziative non è sufficiente, un salto di qualità è necessario, creando delle strutture decisionali in grado di prendere le misure per garantire la sicurezza dei nostri paesi e la sovranità dei nostri Stati.

Se l’Europa raccoglierà in modo positivo le sfide che verranno dagli Stati Uniti la data del 20 gennaio 2025 potrà essere ricordata come quella del salto qualitativo dell’Europa, altrimenti… meglio non pensarci!

Pubblicato dalla Gazzetta di Parma 11/01/2025

Verso l’euro digitale: cos’è e a cosa servirà?

Marco Ziliotti

 

Immaginate di poter disporre di un borsellino virtuale, incorporato nel vostro smartphone -o computer – , oppure in una card, che vi consenta di effettuare pagamenti accettati ovunque, senza commissioni né costi di altra natura (né per voi né per chi li riceve); che funzioni anche offline, nel più sperduto rifugio di montagna o quando internet va in tilt; che consenta, sempre senza costi, di trasferire in tempo reale  potere d’acquisto ad un familiare cui hanno rubato il portafoglio mentre era in viaggio all’estero; che, a differenza di bonifici, carte di credito e di debito, non solo, come detto, sia gratuito ma non necessiti nemmeno di appoggio su un conto corrente bancario – tuttavia che, se già lo possedete, può consentire (tramite un meccanismo di cosiddetto reverse waterfall) di attingere alle disponibilità giacenti – ; insomma, di un mezzo di pagamento semplice ed universale come il contante, ma che, a differenza di questo, grazie alla sua immaterialità, possa essere utilizzato senza trasferimento fisico e detenuto minimizzando i rischi di sottrazione fraudolenta.

In effetti, esistono già da anni sul mercato sistemi di wallet digitali (tra cui le più diffuse app PayPal, Google Pay, Apple Pay, Amazon Pay), ma anzitutto il loro funzionamento dipende dalla copertura internet ed inoltre si tratta di strumenti gestiti da soggetti privati, prevalentemente di oltre Atlantico, che, fra l’altro, si impossessano di tutte le informazioni relative alle transazioni eseguite.

L’euro digitale, invece, alla stessa stregua degli euro fisici, sarà un mezzo di pagamento gestito da una autorevole istituzione pubblica, la BCE, con tutte le garanzie del caso (anche quelle di avere un gestore “domestico”, elemento non banale in tempi di forti incertezze geopolitiche). Il progetto legislativo di istituzione di una CBDC (Central Bank Digital Currency) europea – sono peraltro in fase avanzata analoghi progetti in USA e Cina – è contenuto nel “Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all’istituzione dell’euro digitale”, che prevede, dopo una fase preparatoria iniziata nel novembre 2023, che fra un anno il Consiglio direttivo della BCE passi alla fase operativa, stabilendone nel dettaglio modalità e tempistiche (rulebook).

La diffusone della moneta europea virtuale esordirà dunque probabilmente nel 2026, con l’obbligo di accettazione quale mezzo di pagamento non solo nei venti paesi dell’Eurozona, ma in tutti i ventisette dell’UE, con la fondata aspettativa che in breve tempo, alla stessa stregua dell’euro fisico, pure l’euro digitale venga accettato in tutti – o quasi – i paesi del mondo.

Preciso obiettivo delle autorità europee è che l’euro digitale rappresenti esclusivamente un mezzo di pagamento e non una riserva di valore (cioè, un asset su cui investire il proprio patrimonio). A tale scopo, si prevede che le somme detenute in euro digitale non fruttino alcun interesse e siano assoggettate a stringenti limiti quantitativi a livello individuale (le imprese potranno solo riceverlo in pagamento). Tali vincoli peraltro serviranno pure ad evitare effetti di disintermediazione e quindi di spiazzamento del sistema bancario: i depositi bancari continueranno ad essere la forma tipica di riserva di valore liquida.

Tale natura di mero mezzo di pagamento e non di potenziale asset speculativo mette in evidenza anche come l’euro digitale non sia in alcun modo comparabile alle criptovalute (Bitcoin, Ethereum, Tether, Solana, ecc): queste infatti, come noto, non dispongono di alcuna garanzia di controllo legale, bensì di sistemi fondati su tecnologie distribuite, tipo blockchain, e vengono tipicamente utilizzate come forme di investimento speculativo, altamente volatile.

L’euro digitale sarà invece assoggettato a controlli puntuali da parte della BCE che, come da suo preciso mandato istituzionale, ne dovrà dunque garantire la sicurezza – anzitutto rispetto al cybercrimine -, la stabilità del valore e, non meno importante, la tutela della privacy. Tema, quest’ultimo, di particolare delicatezza: l’uso frequente delle criptovalute per scopi illeciti suggerisce che anche le monete digitali, alla stessa stregua del contante, potranno essere utilizzate per finalità illegali. Starà all’intelligenza del regolatore trovare un giusto equilibrio fra lotta alla criminalità finanziaria e libertà economica.

La futura Commissione europea

Alfredo De Feo

Il 20 Novembre 2024, i gruppi politici del Parlamento europeo hanno concluso l’accordo politico che, con ragionevole certezza, permetterà l’entrata in funzione della nuova Commissione europea, il 1 dicembre come nella scorsa legislatura. Tale voto mette fine a molti mesi in cui l’attenzione delle Istituzioni europee è stata più rivolta verso l’interno che alle vicende geopolitiche. L’elezione di Trump, alla Presidenza degli Stati Uniti ha dato un’ accelerazione a processi che nel passato sono stati più complessi.

Per molti osservatori il comportamento dei leader dei gruppi parlamentari è apparso poco maturo, dettato da preoccupazioni difficilmente comprensibili di fronte alle urgenze ed alle sfide mondiali, sfide che si potranno affrontare solo con una grande unità.

I contrasti tra i gruppi politici, al di là, delle posizioni identitarie e nazionali, nascondevano un malessere di fondo: accettare lo spostamento della maggioranza dall’europeismo che abbiamo conosciuto negli decenni scorsi ad un europeismo, marcato da una presenza più invasiva degli Stati, probabilmente più in sintonia con il sentire di una parte dell’opinione pubblica, che si è tradotta nel risultato alle elezioni europee.

Ursula von der Leyen, ha colto da subito questo cambiamento, proponendo di coinvolgere il gruppo conservatore, o almeno una parte del gruppo, nelle cariche apicali della Commissione, essendo cosciente che nel prossimo quinquennio non potrà sempre contare sulla maggioranza di popolari, socialisti, liberali e verdi e che, probabilmente, avrà anche bisogno del supporto della destra più moderata, i conservatori europei. Inoltre, la nomina di Fitto dovrebbe garantirle una maggioranza più stabile anche in seno al Consiglio, dove il peso dell’Italia non è indifferente. Nell’architettura bicamerale europea, infatti, la Commissione, per qualsiasi atto legislativo, dovrà trovare non solo il sostegno della maggioranza parlamentare ma anche quella degli Stati Membri. L’atteggiamento della Presidente della Commissione denota lucidità e realismo politico.

Il Parlamento Europeo ha ampiamente dimostrato in questi anni di essere fondamentale nell’equilibrio istituzionale, potrà continuare ad essere centrale nella costruzione europea a condizione di mantenere la capacità di compromesso anche di fronte ad un Consiglio, la cui maggioranza degli Stati ha probabilmente una visione dell’Europa più nazionale.

D’altra parte se guardiamo agli ultimi venti anni, il processo decisionale europeo è divenuto progressivamente più intergovernativo, riducendo l’influenza della Commissione. La Commissione che dovrà accompagnare l’Europa verso il 2030 sarà sicuramente influenzata dai Governi, molti dei Commissari sono diretta espressione dei Governi nazionali ed è probabile che questi condizionino le scelte della Commissione più di quanto avvenuto in passato.

Gli ultimi anni hanno dimostrato però che il processo di integrazione europea può proseguire anche attraverso il metodo intergovernativo, con decisioni prese all’unanimità, come è stato per il piano di Ripresa e Resilienza finanziato con la garanzia dei bilanci nazionali. Anche se probabilmente, nell’immediato, questo tipo di finanziamento non si riprodurrà, gli Stati possono essere capaci di far progredire l’integrazione europea. La prova concreta si è avuta nel Consiglio Europeo informale del otto Novembre 2024 dove, i Capi di Stato e di Governo hanno invitato la Commissione, tra l’altro, a presentare una strategia orizzontale sull’approfondimento del mercato unico, verso un’unione dei risparmi e degli investimenti e realizzare con urgenza progressi per quanto riguarda l’unione dei mercati dei capitali.

Inoltre gli Stati chiedono all’Alto Rappresentante ed alla Commissione di presentare proposte per aumentare l’efficienza della capacità di difesa europea, in particolare rafforzando opportunamente la base industriale e tecnologica di difesa opzioni elaborate di finanziamento pubblico e privato.

Per concludere, la nuova Commissione dovrà rafforzare la credibilità europea con proposte che possano raccogliere il consenso di tutti gli Stati se è possibile, senza dimenticare che i Trattati prevedono che alcuni progetti siano condivisi solo da una gruppo di Stati, come per esempio l’Euro, o il trattato di Schengen, la cooperazione rafforzata, lasciando ovviamente le porte aperte agli altri di partecipare.  

Pubblicato sulla Gazzetta di Parma 23/11/2024

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